Un clima che cambia

I mezzi di informazione, negli ultimi mesi, hanno riaperto il dibattito sui cambiamenti climatici che, in ambito scientifico, è in corso da decenni. La composizione dell’atmosfera sta cambiando e come conseguenza il pianeta si sta riscaldando. In poche parole l’uomo è riuscito a rompere un delicato equilibrio che è stato prodotto da un complesso di azioni e reazioni di milioni di anni di vita sulla terra. L’atmosfera che circonda il nostro pianeta è stata plasmata ma è anche plasmatrice dell’evoluzione degli esseri viventi, ed è proprio per questo motivo che non è inattaccabile o infinita.

I cambiamenti climatici stanno avvenendo in modo rapido e significativo ed è per questo che dobbiamo cercare di “invertire la rotta” per assicurare un futuro anche alla specie uomo. Per arginare il fenomeno è necessario ed urgente:

· ridurre gli sprechi energetici e gli sprechi in genere. Bisogna non solo cercare di non sprecare le risorse naturali (come l’acqua) ma è anche necessario iniziare ad acquistare in modo critico, praticando la sobrietà e acquistando solo quello che è davvero utile e necessario (significa meno risorse, meno energia e meno rifiuti) e che abbia una storia “pulita”. Preferiamo quindi i prodotti sostenibili, equi e dignitosi che non abbiano causato lo sfruttamento delle risorse e delle persone, la distruzione dell’ambiente e la perdita di biodiversità.

· trasformare il nostro modello di sviluppo in uno più compatibile. L’attuale richiesta energetica è eccessiva. Le risorse naturali non sono infinite e vengono sfruttate in modo insostenibile senza programmazione e senza riflettere sulla loro disponibilità futura.

· migliorare l’efficienza nella produzione di energia, favorendo le risorse rinnovabili senza pagare alti costi ambientali e senza causare perdita di biodiversità ma soprattutto scegliendo fonti che incidano realmente e significativamente sul bilancio energetico e sulla effettiva riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Non dobbiamo dimenticare che la causa principale del riscaldamento globale è l’attuale sistema energetico basato sul consumo dei combustibili fossili (petrolio e carbone). Questa verità scientifica è stata a lungo, troppo a lungo, osteggiata, avversata, nascosta da alcune potenti lobby che non erano disposte a predisporsi ai cambiamenti. Per fare un esempio basti pensare al maggiore produttore mondiale di emissioni di gas responsabili del riscaldamento globale (soprattutto di anidride carbonica) e cioè agli Stati Uniti d’America che non hanno voluto ratificare il Protocollo di Kyoto con gravi conseguenze per tutti noi e l’ambiente! I cambiamenti climatici agiscono su scala globale e sono quindi necessari urgenti provvedimenti a tutti i livelli: mondiale, continentale e nazionale.

Numerosi studi scientifici evidenziano come i cambiamenti climatici non siano solo un problema di conservazione del futuro, ma al contrario siano già operanti e costituiscano una seria minaccia attuale per habitat e specie. Durante gli ultimi 100 anni il clima sulla terra si è riscaldato mediamente di 0.3-0.6°C. Ma il riscaldamento è stato più intenso in alcune aree geografiche con mutamenti nell’andamento delle precipitazioni. Si tenga presente che un cambiamento di 0.5°C può considerarsi significativo per molti sistemi ecologici e fisiologici. Ma chi è più a rischio?

“La distribuzione delle specie animali e vegetali - afferma  Claudio Celada, Direttore del settore Conservazione della LIPU – dipende dalla presenza di habitat idonei ed in particolare dalla disponibilità di cibo e di siti di riproduzione. La temperatura e le precipitazioni possono influenzare notevolmente queste caratteristiche. La permanenza invernale di alcune specie di uccelli e la tendenza da parte di specie migratrici ad anticipare l’arrivo nel nostro Paese sono collegate alle condizioni climatiche più miti. Ma molte specie non hanno la sufficiente plasticità evolutiva per rispondere a questi repentini mutamenti ed è quindi possibile individuare vinti e vincitori. Il problema è che le specie già a rischio sembrano vedere accentuata la loro crisi mentre le specie invasive, già a rapida diffusione, sono attualmente avvantaggiate dai cambiamenti in atto. Una delle chiavi per la sopravvivenza per queste specie, infatti, è la capacità di adattarsi in fretta ai cambiamenti e di disperdersi spostando la loro distribuzione geografica. Le specie che non riescono a compiere grandi spostamenti inevitabilmente soccomberanno.”

 “Il Protocollo di Kyoto è una occasione persa per la tutela della biodiversità – continua Claudio Celada – le problematiche di conservazione non possono essere trattate separatamente da altre grandi questioni come quella energetica. Per esempio viene data troppa enfasi alla piantumazione di essenze (anche alloctone) a rapido accrescimento,  e quindi in grado di immagazzinare velocemente il carbonio, rispetto al mantenimento della attuali foreste primarie e delle grandi zone umide residue, che oltre ad essere zone chiave per la biodiversità, possono agire da sink (serbatoi) di carbonio.” Tutte le fonti energetiche rinnovabili, inoltre,  vengono messe sullo stesso livello senza tener conto che alcune di esse hanno un forte impatto sulla perdita della biodiversità.

Nel G8+5 di giugno la Presidenza della Commissione Europea presenterà i documenti sul cambiamento climatico e sulla conservazione della biodiversità. “Si tratta di due importanti documenti  proprio perché hanno il merito di leggere la grande questione climatica nell’ottica di una forte integrazione con quella naturalistica” – afferma la LIPU – “ricordando l’impegno assunto al summit mondiale di Johannesburg da parte dei Capi di Stato e dei Governi per ridurre in modo significativo il tasso di perdita della biodiversità entro il 2010”.  La LIPU ha chiesto che l’Italia supporti i due documenti e nello specifico è stato chiesto al Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, un forte impegno affinché il meeting possa fare proprie tre proposte: “La prima – scrive la LIPU - è un adeguato finanziamento di un Piano d’azione per la biodiversità che incorpori l’obiettivo globale di ridurre la perdita di biodiversità entro il 2010. La seconda è un chiaro riconoscimento dei benefici della biodiversità in termini di salute, alimentazione, sicurezza, educazione e sviluppo, unito alla richiesta di integrare la conservazione della biodiversità nei piani e nelle strategie di questi settori. La terza è dimezzare il tasso di perdita delle foreste e il raddoppio della superficie di foreste gestite in modo ecologicamente sostenibile entro il 2015”. 

Queste proposte non dovrebbero trovare ostacoli visto anche che i Paesi del G8 sono quelli che utilizzano i tre quarti delle risorse della terra e che quindi sono particolarmente responsabili di un uso sostenibile della diversità biologica. Inoltre il “Millennium Ecosystem Assessment” delle Nazioni Unite (la più completa valutazione dello stato degli ecosistemi mai formulata) ha sottolineato che il destino degli ecosistemi e la lotta contro la povertà sono intimamente interconnessi ed è quindi necessario che le politiche ambientali escano dalle grandi politiche settoriali non più sostenibili per l’ambiente e per la specie uomo.

© Autore Angela Damiano—Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

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