© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

Succiacapre

Finalmente raggiungiamo la radura che ci permetterà di osservare meglio gli intensi colori del tramonto di questa sera di fine agosto quando, in un piccolo avvallamento del terreno, un mosaico di terra prende vita, si solleva e, con grande leggerezza e agilità, vola all’altezza degli alberi allontanandosi da noi ma anche dal nido che l’aveva visto nascere qualche settimana fa.

Con emozione e rapida premura ritorniamo sui nostri passi per non disturbare ulteriormente il giovane uccello con la nostra presenza, seppur silenziosa e puramente contemplativa. Contenti che quella nidificazione sia andata a buon fine e che non sia stata distrutta dall’indifferenza e dall’egoismo umano, come purtroppo spesso accade e come ci viene ricordato dal poeta inglese John Clare (1793-1864) nel suo componimento “Nel fruscio dell’erica, con passo pesante egli va, noncurante del nido che calpesta, nascosto per terra, sotto il ginestrone o il biancospino”.  Sono sufficienti questi pochi versi per imprimere nella nostra mente uno scenario tristemente diverso da quello di cui siamo stati appena i protagonisti e, con una leggera ansia ci voltiamo a guardare ancora una volta la realtà che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Nella luce fioca del sole quasi scomparso dietro l’orizzonte, l’uccello dai colori della terra vola ondeggiando, zigzagando, planando e emettendo il suo “cu-ic” per mantenere il contatto con gli altri tre che lo hanno appena raggiunto. Osservando quello spettacolo, che solo la natura sa regalare, riusciamo ad immaginare l’emozione che, circa 200 anni fa, ha spinto il poeta inglese William Wordsworth a scrivere “Ronza il Succiacapre, e vola in cerchio, il suono dell’uccello solitario è il solo che si possa sentire”. Oggi, ricordando quello incontro, non so dirvi se è l’unico suono udito quella sera ma posso assicurare che è riuscito a catturare la mia totale attenzione “uditiva”, imprimendosi nella mente, e riecheggiando ogni qualvolta ridò vita a quel affascinante volo nel tramonto.

Il protagonista di questo straordinario incontro è di certo il Succiacapre (Caprimulgus europaeus), un uccello di circa 30 centimetri di lunghezza ma che può raggiungere un peso di massimo 100 grammi, che viene sovente confuso per un rapace ma che invece appartiene all’ordine dei Caprimulgiformi. I nomi dell’ordine, della famiglia (Caprimulgidi) e del genere a cui appartiene questa specie derivano dal greco e significano “mungitore di capre”, così come sottolineato anche dal suo nome italiano. Gli sono stati attribuiti a causa di un’antica leggenda diffusa tra i pastori, ma addirittura ritenuta realtà dal filosofo greco Aristotele, che serviva non solo a motivare la presenza notturna di questo uccello tra il bestiame ma soprattutto a mascherare i piccoli furti di latte che avvenivano durante le ore notturne. Il capro espiatorio è dunque trovato ma qualunque giudice che lo osservi bene lo assolverebbe, non solo in quanto uccello e quindi non in grado di assimilare il latte (prerogativa appartenente solo ai mammiferi), ma anche poiché possiede un becco piccolo, sottile e ricurvo con lunghe setole ai lati che renderebbero quei furti fisicamente improbabili. Cosa farà allora egli tra il bestiame? Osserviamolo ancora, ma questa volta più attentamente. La conformazione della sua bocca è simile a quella del Rondone: base molto larga che permette di avere così un’apertura molto grande per intrappolare gli insetti durante il volo. Un’alimentazione esclusivamente insettivora dunque, sebbene a differenza del Rondone egli vola di notte e riesce a vedere nel buio grazie ai suoi grandi occhi neri proprio come quelli degli Allocchi e come questi, ma anche come gli altri rapaci notturni, era stato un tempo inserito nell’ordine degli Strigiformi. Essendo un mangiatore di insetti frequenta habitat aperti come gli incolti privilegiando i pascoli che sono così ricchi di escrementi “attira-insetti”. Presto fatto quindi ora è il momento della sua completa assoluzione e il pastore si giustifica per la sua gran sete estiva dicendo che quel latte è davvero tanto buono. A quelle parole il giudice decide di assolvere anche il pastore per l’innegabile necessità di bere durante la conduzione del pascolo estivo e riconoscendo che i furti di latte avvenivano solo nella stagione più calda. La capacità del pastore di osservare la natura gli aveva risparmiato di dover un risarcimento al suo padrone che dovette così chiudere un occhio e dimostrarsi più comprensivo. L’ignaro capro espiatorio sarebbe stato assolto già secoli fa se solo i pastori non avessero mostrato quell’oculatezza nel loro furto di latte: come poteva essere infatti accusato di essere il responsabile di furti di latte autunnali o invernali se egli svernava in Africa fino a primavera inoltrata?  

Questa specie, purtroppo, sta diventando sempre più rara in tutta Europa non per una persecuzione diretta ma a causa della distruzione e frammentazione degli habitat di riproduzione e alimentazione, il rimboschimento degli incolti e dei pascoli, la modificazione dei sistemi di allevamento del bestiame e della conduzione agricola (pesticidi, riduzione/assenza di pascolo, aumento delle strade asfaltate) ma anche per la distruzione delle covate e il disturbo durante la sua nidificazione.

I colori della terra