Salamandrina dagli occhiali e Salamandra pezzata

L’arrivo dell’autunno con le tipiche giornate uggiose e piovose scoraggia i frequentatori dei boschi che spesso perdono un occasione unica per vedere alcuni animali che invece traggono beneficio proprio da queste condizioni atmosferiche, come ad esempio gli anfibi “con la coda” (Urodeli) tra cui le salamandre sono solo alcune delle specie più rappresentative.

Gli antichi attribuivano alle salamandre una certa parentela con le lucertole (che invece sono rettili), di cui potrebbero vagamente ricordare la forma, ma che invece se ne distinguono anche per il loro simpatico ed inconfondibile musetto da rana (tondeggiante). Diversi non solo nell’aspetto ma anche per le loro abitudini, infatti, i rettili amano crogiolarsi al sole mentre gli anfibi conducono una vita tra terra e acqua.

Altre strane convinzioni avevano gli antichi riguardo questi animali “le salamandre nascono e abitano nel fuoco nutrendosi di fiamme” e strani poteri gli venivano attribuiti “riescono a spegnere fornaci” tanto che venivano venduti persino vestiti in “pelle di salamandra” poiché resistenti realmente al fuoco ma solo perché realizzati con l’amianto. Quale potrebbe essere la motivazione e quindi la causa che ha potuto dare adito a queste credenze? La risposta non è affatto difficile. Questi animali vivono nei boschi ed amano rifugiarsi nei tronchi cavi degli alberi ed in svariati anfratti naturali e, molto spesso, i tronchi “occupati” venivano (e vengono ancora oggi) prelevati e accatastati fuori dalle case (o dentro le cantine) per poi finire irrimediabilmente a bruciare nel fuoco. Lo svilupparsi del calore fa uscire allo scoperto questo sensibile animale, che ama mantenere la sua pelle sempre fresca ed umida e che quindi cerca di allontanarsi dalle fiamme e dal calore. Se riesce poi a salvarsi e a ritornare nel suo habitat naturale, questa è un’altra storia e dipende da troppi fattori… certo è che “non è indenne” ne alle fiamme e ne al calore.

Una specie endemica italiana (cioè che vive esclusivamente in Italia) che si trova anche in Molise è la Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata). Il suo nome è dovuto alla caratteristica macchia bianca a forma di triangolo che ha sulla testa e che è nettamente in contrasto con il suo corpicino nero. Il nome “terdigitata” si riferisce alla caratteristica delle sue zampe posteriori che possiedono solo 4 dita anziché 5 come le altre specie di anfibi europei. Questo piccolo animale può misurare dai 7 agli 11 cm (compresa la coda) e presenta, nella parte inferiore del corpo, una colorazione di avvertimento: la pancia è bianca con macchioline nere mentre la coda e le zampe sono di un rosso vistoso. Questi colori servono per scoraggiare eventuali predatori indicandola come animale “disgustoso” o potenzialmente “velenoso” e vengono mostrati quando si sente in pericolo: inizialmente mostra solo il rosso, piegando la coda sul corpo, ma se la minaccia continua si gira anche “a pancia in sù”! Sia la sua colorazione che l’atteggiamento non passarono inosservati agli occhi dell’uomo, che già dall’antichità gli attribuì una certa velenosità tanto che Plinio il Vecchio, e successivamente Isidoro, la definirono “il più velenoso degli animali”.

Recentemente studi genetici hanno dimostrato che esiste una seconda specie endemica, che vive nell’Italia centro meridionale e in Molise è presente nell’Oasi LIPU di Casacalenda: la Salamandrina di Savi (Salamandrina perspicillata), molto simile alla precedente, di cui condivide medesimi abitudini e habitat,  e per questo a lungo considerata come  un’unica specie.

La Salamandra pezzata (Salamandra salamandra) misura quasi il doppio, mediamente circa 20 centimetri ma riesce a raggiungere anche i 28 centimetri di lunghezza (compresa la coda). Il suo nome è dovuto alla caratteristica colorazione nera con vistose macchie gialle che aumentano di estensione negli esemplari che vivono  più a sud. In Italia meridionale esiste una sottospecie endemica e che quindi vive anche in Molise.

Entrambe le specie vivono in boschi di latifoglie collinari o di montagna dove sono presenti possibili rifugi ed anfratti (come tronchi, alberi cavi e vegetazione) e corsi d’acqua naturali e non inquinati.

La maggioranza degli anfibi, infatti, è molto sensibile all’inquinamento, le loro larve non riescono a sopravvivere in presenza di pesticidi o di altre sostanze inquinanti anche se in dosi minime.

L’eliminazione dei rifugi con le cosiddette “puliture”, il taglio e la bruciatura della vegetazione spontanea nei boschi, lungo i corsi d’acqua e nei pressi e all’interno delle pozze o stagni costituiscono altre cause di minaccia per queste specie.

Gli anfibi sono inoltre gli animali tra i più minacciati dai cambiamenti climatici in quanto poco mobili, spesso endemici o con areali discontinui e limitati, ma anche per la loro sensibilità ai raggi solari e al calore.

© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

Due specie a confronto

Con l’Italia a rischio desertificazione, con l’aumento degli incendi boschivi e con la poca attenzione verso uno sviluppo più sostenibile rischiamo di perdere questi splendidi endemismi che dovrebbero invece costituire motivo di orgoglio e un incentivo ulteriore per attivare una tutela reale di questi habitat e della biodiversità italiana!